Riccardo Chessa

Archeologo sperimentalista
Direttore scientifico del Parco Archeologico Gli Albori
Da oltre vent’anni svolgo attività di formazione nell’ambito delle Scienze Archeologiche agli studenti di ogni ordine e grado; collaboro a livello internazionale con Musei, Università, Centri di Ricerca e Soprintendenze per i Beni Culturali.

La mia storia

Sono nato a Orbetello, antichissima cittadina di origine etrusca. I miei primi ricordi sono legati a Roselle (la famosa città-stato etrusca di “Rusellae”), quindi a Scansano, dove persino tra i campi di mia nonna affioravano i resti di una villa romana; infine, mi sono trasferito definitivamente a Campagnatico quando avevo sette anni.
Fin da bambino, le mie passioni per l’Archeologia, gli animali e la Natura tutta mi portarono a vivere a stretto contatto con gli elementi naturali; ero affascinato e incuriosito da tutto quello che mi circondava, presissimo da perlustrazioni e ricerche che mi portarono ben presto a tenere un diario segreto sempre con me per annotare tutto quello che mi sembrava degno di nota, per comprendere ogni dettaglio del nostro territorio e la sua storia più remota. Ho sempre avuto un ‘sesto senso’ a guidarmi là dove c’era stato qualcosa e, con un po’ di spirito di osservazione, notando le differenze di colore del terreno, l’esposizione delle colline lungo particolari assi e grazie agli oggetti che trovavo, quei luoghi iniziarono a parlarmi di ciò che c’era stato nel loro passato, assumendo contorni e significati.

E poi, c’erano i mitici racconti dei contadini, Ilio Santi e Geardo Tei, a farmi sognare a occhi aperti, come quello sul ritrovamento di reperti di età romana nei campi a Poggio Rotigli, nel lontano 1958, in particolare delle mura monumentali, alcune tombe, due lamine con delle iscrizioni e delle aquile di bronzo, di cui, però, era stata persa ogni traccia. Sottoterra c’erano davvero una villa o un tempio, chissà chi vi aveva abitato, se c’erano dei tesori d’arte… ne schizzavo la mappa e prendevo appunti: quanta Storia c’era ancora da scoprire!

I racconti di mia mia madre sulla terra rosellana delle sue origini contribuirono a far nascere in me quel fuoco della passione per l’archeologia che nel primo momento si assestò sul periodo etrusco-romano; merito anche del mio vicino di casa, Morbello Vergari (1920–1989), il famoso scrittore e poeta contadino, archeologo autodidatta e indimenticabile custode degli scavi di Roselle; passavo pomeriggi interi a osservarlo mentre batteva a macchina i suoi libri sulla cultura etrusca e sulle tradizioni maremmane; spesso viaggiavo con lui nel suo furgone color carta da zucchero, gli facevo compagnia mentre intratteneva i turisti con storie e canzoni; promosso aiutante, gli passavo dal frigo qualche lattina di Coca-Cola da vendere insieme a libri e a souvenir di fattura etrusca…

Anche al Liceo psico-pedagogico tutto procedeva nel farmi amare l’Archeologia classica: lo studio degli Egizi, degli Etruschi, dei Romani, le grandi culture con le loro meravigliose e monumentali opere… ma da lì a poco le cose sarebbero cambiate e tutto avvenne proprio per caso mentre, come mille altri pomeriggi, stavo esplorando un’area che da molti giorni aveva attirato la mia attenzione: un cocuzzolo particolarmente regolare; mi recai sul posto dopo aver percorso diverse centinaia di metri nei campi appena arati dai trattori. Riconobbi immediatamente i muri e le tramezzature di un qualcosa che doveva appartenere a un piccolo insediamento medioevale; riconobbi due stanze e l’area cimiteriale, ma niente di particolarmente rilevante, finché nel terreno, a poca distanza dal bosco, scorsi qualcosa di chiaro che sporgeva per pochi millimetri… col piede delicatamente toccai l‘oggetto credendo che fosse un frammento di conchiglia, invece, premendo leggermente, feci riemergere una cuspide di selce.

Rimasi meravigliato dalla fattura della freccia: era di colore bianco perlato, perfettamente simmetrica; aveva l’estremità fratturata a causa di un impatto con una superficie dura, forse l’osso di un animale o una pietra, procurato per errore dal tiro di un arciere preistorico, sicuramente dell’Eneolitico! Misi la cuspide in un cassetto. Ogni tanto lo aprivo e mi mettevo a osservare quel meraviglioso manufatto; le mie domande erano sempre le stesse: come era stata realizzata, con quale tecnica, da dove arrivava quel materiale straordinario che in vita mia non avevo mai visto?

La mia curiosità ben presto si evolse in un sentimento di sfida: se ci sono riusciti ‘loro’, ce la posso fare anch’io! Le ultime parole famose: avevo appena 18 anni, il mio tempo passava tra lo studio di Socrate e Orazio e la ricerca di materiali di pietra dura per le prove di scheggiatura. Nonostante tonnellate di pietre distrutte e le mani ferite e sanguinanti, non riuscivo a fermarmi: dovevo assolutamente capire come si potevano costruire quelle punte di freccia!

Finito il Liceo, decisi di iscrivermi all’università di Ferrara dove, nel corso di laurea in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali, potei finalmente affinare la tecnologia della scheggiatura litica e approfondire il periodo preistorico della cultura umana. Il mio primo scavo fu con i professori Carlo Citter e Riccardo Francovik a Castel di Pietra, da lì a poco iniziò la mia carriera universitaria con l’Università degli Studi di Ferrara, costruii la prima capanna in collaborazione con il Prof. Dolfini e la professoressa Nuccia Negroni Catacchio dell’università di Milano, per l’Archeodromo del Parco Archeologico Naturalistico di Belverde a Cetona (SI), poi con l’Università degli Studi di Siena, il Museo Archeologico di Bolzano e tanti altri…

Nacque allora l’idea di ricostruire un villaggio dell’Età del Bronzo in cui far rivivere didatticamente l’esperienza della vita quotidiana di allora e trasmettere la mia passione per l’Archeologia a bambini e ragazzi. L’Agriturismo di Campagnatico era il luogo perfetto per concretizzare il mio sogno: lo avrei fatto sorgere dal nulla costruendo le capanne con le mie stesse mani!

Mi incaponii nelle ricerche delle lamine di bronzo rinvenute a Poggio Rotigli: dovevo assolutamente ritrovare quella che costituiva la testimonianza principale dell’esistenza di qualcosa che nel mio cuore sapevo essere davvero grande e importante! Scoprii che le lamine erano state portate a Firenze, ma in occasione dell’alluvione del 1966 scomparvero: erano state portate in salvo chissà dove e dimenticate. Ci misi anni… Infine, in un vecchio magazzino della Soprintendenza fiorentina, grazie alla scoperta da parte di Lorenzo Marasco del nuovo codice con cui erano state archiviate, furono ritrovate: si trattava proprio del Diploma militare romano del 7 gennaio 306 d.C. con cui Clemente Valerio, veterano della IX Coorte Pretoria (la guardia personale dell’Imperatore), fu congedato dal servizio militare!

‘Nazione Italus’ è il suo titolo e si tratta del congedo più tardo della storia dell’Impero Romano in nostro possesso.

Chiunque abbia realizzato quella freccia di selce bianca era davvero un artista!
Sono passati decenni da quel giorno. Eppure, dopo aver scheggiato tonnellate di selce e di pietre dure, non sono ancora riuscito a replicare perfettamente quella cuspide straordinaria che per caso riemerse davanti i miei occhi in quel caldo pomeriggio di settembre del 1995…

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