La tesi

La tesi, legge che esprime i risultati ottenuti

La quarta fase e’ quella della verifica sperimentale, in quanto si accetta il principio che, se una legge fisica e’ vera, tutte le conseguenze che da essa si possono dedurre matematicamente devono essere confermate dall’esperienza entro i limiti dell’incertezza delle misure. L’esperienza sperimentale, in Archeologia, è la ricostruzione e l’uso del manufatto.

Il presupposto che sottende la fase dell’esperimento e’ che questo, se ripetuto nelle stesse condizioni, fornirà gli stessi risultati.

Ciò permette di confrontare i risultati in laboratori diversi, di ripetere quante volte si vuole l’esperimento per migliorare la precisione dei risultati.

I percorsi di indagine corretti alla sperimentazione in Archeologia possono quindi essere molteplici, perché ispirati da diverse discipline. Tutte queste vie interdisciplinari devono comunque intersecarsi e ovviamente convergere verso l’unico obiettivo di chiarire la visione e comprensione delle possibili verità.

Verità al plurale, perché mai come in archeologia la Vera Verità non potrà mai definirsi certa ed unica.

Quindi si devono raccogliere dati, soprattutto si deve imparare a estrarli e gestirli nel modo corretto e nel rispetto delle metodologie d’indagine delle scienze, e si deve ragionare sempre in termini di probabilità e ipotesi.

La storia della sperimentazione in archeologia, soprattutto qui in Italia, è breve, forse neanche è giusto parlare di storia ma ad una sua più lecita preistoria.

Dal mondo accademico è da poco che se ne sente parlare non sottovoce.

Si è assistito in passato alla sperimentazione di qualche archeologo che, intuendo giustamente in questo una via d’indagine interessante si improvvisava lui stesso vasaio, vetraio, fabbro, scheggiatore, pescatore, cacciatore deducendo dalle sue esperienze dirette, spesso maldestre, indicazioni comunque pubblicabili per via della loro indubbia originalità; questa piccola presunzione ha reso purtroppo un cattivo servizio al progredire delle conoscenze sulla cultura materiale preistorica e quello delle scienze comportamentali umane antiche, per via di alcune conclusioni affrettate, discutibili, ma comunque divenute famose e prese come assunto.

Nello stesso tempo, la grande quantità di volenterosi che si sono autoeletti archeologi sperimentali creando associazioni e gruppi di lavoro, a volte animati da uno spirito ingenuo, a volte per pecularci sopra, ha sì diffuso l’interesse per la materia in sé per via della sua spettacolarità ma ha generato enorme confusione, inflazionando il messaggio e creando una cacofonia semantica senza pari, soprattutto tra i mezzi di comunicazione e nel mondo della scuola.

Il mondo accademico, naturalmente ha rifiutato questa archeologia dilettantistica, purtroppo eradicando per un lungo periodo (perlomeno qui in Italia) ogni prospettiva seria di sperimentazione scientifica.
Da un altro, chi oggi tra gli archeologi ha raccolto intelligentemente contributi multidisciplinari trasversali da tecnici, artigiani e specializzati è riuscito a compiere grandi progressi sull’analisi e interpretazione funzionale dei reperti relati ai contesti culturali specifici.

I personaggi specializzati a cui mi riferisco sono quelli il cui background culturale è l’esperienza maturata in anni di applicazione e le cui caratteristiche comportamentali sono comunque basate sulla pragmaticità, cioè il raggiungere lo scopo con a disposizione mezzi limitati da una deliberata rinuncia alla tecnologia moderna.

Naturalmente ciò è avvenuto quando il lavoro di equipe tra ricercatori e sperimentatori ha funzionato: quando i tecnici hanno messo a disposizione le loro capacità agli scienziati e quando gli scienziati hanno deciso di stimolare al problem solving questi tecnici specializzati, soprattutto ascoltando le loro osservazioni. Da qui si può facilmente desumere come l’Archeologo Sperimentale sia da vedersi una figura collettiva, un team, non un solo individuo.

L’indagine di scienza e la compenetrazione del problema pragmatico devono andare assolutamente insieme nella stessa direzione. Sperimentare significa rispettare l’empirismo e osservare scrupolosamente degli standard, rispettare un protocollo replicabile ovunque e da chiunque ne abbia le capacità, permettendogli di confutare o confermare le conclusioni.

Essere padroni delle condizioni di laboratorio, dei dati e delle procedure significa saper dare un giusto peso ad essi e saper scindere le variabili importanti da quelle trascurabili, e comunque registrare e elaborare sempre con precisione ogni processo e ogni tracciato operativo.

Ciò per poter permettere ad altri ricercatori di aggiungere tasselli nel mosaico delle verità indagabili.

Nell’archeologia la cosa è difficilissima. Le scienze fisiche sperimentali tout court hanno protocolli scolpiti nel granito, percorsi che tutto sommato risultano più semplificati.

La variabile comportamentale umana gioca un ruolo talmente preponderante nell’analisi sperimentale archeologica che a confronto leptoni, quark e onde gravitazionali sono soggetti malleabili da un punto di vista sperimentale. Purtroppo questa variabile comportamentale sfugge da qualsiasi possibilità di indagine conoscitiva seria.

Ecco perché la sperimentazione in archeologia ha necessità di mezzi, strutture, teste pensanti formate in anni di studi accademici, sia scientifici che umanistici, e soprattutto mediazione e buon senso, intuizione e a volte anche un pizzico di trasgressione creativa.

Ha bisogno anche della mano e del cervello di chi sa non solo replicare i manufatti, ma di colui che si pone come obiettivo l’uso di essi in contesti il più possibile simili a quelli desunti dalle ricerche archeologiche di scavo e dall’analisi scientifica dei dati. Nessuna delle due parti può fare a meno dell’altra.
Oggi finalmente sembra che le cose possano imboccare una strada interessante.

La sensibilità del mondo accademico si è maturata, offrendo la possibilità di un apporto trasversale e multidisciplinare alla ricerca da parte di tecnici maturati, consapevoli finalmente dell’importanza di chi ha mani per creare ed usare.