I musei etnografici nord-europei tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento introdussero criteri espositivi che evitarono l’astrazione degli oggetti dal contesto loro proprio, per riaggregarli in complessi unitari e indivisibili.
Il museo tradizionale fortemente settorializzato, nato in funzione di campi di ricerca scientifica specialistici e separati, cedette il passo a un approccio interdisciplinare in cui il bene culturale, artistico o naturale fu offerto al visitatore come oggetto di una conoscenza globale ed integrata.
Il grande museo all’aperto, Skansen di Stoccolma, fu il primo significativo atto di questa nuova concezione museografica e presto questo concetto si estese anche al campo archeologico con la costruzione sperimentale di villaggi preistorici in varie località europee.
Oggi l’uscita all’aria aperta è l’evoluzione naturale di questo modo di concepire, riproponendo con pienezza ai non esperti la percezione di culture e modi di vita oggi scomparsi.
Le abitudini moderne prive di memoria e assai lontane dai tempi trascorsi, finalmente, oggi possono essere integrate in un insieme unitario con quegli elementi naturali che ne costituivano ampia parte: gli aspetti geologici, biologici, l’atmosfera, le colture, gli allevamenti, le tecnologie ecc.
Il paesaggio in tutte le sue componenti diventa protagonista del parco o del museo, opportunamente predisposto per illustrare un determinato processo storico. Questo significa introdurre la percezione di un processo evolutivo del territorio che metta in relazione il passato più remoto con il nostro tempo.
E’ evidente la grande efficacia didattica di questo modo di concepire i beni ambientali e culturali, che diviene lo strumento per porre i soggetti nella condizione di essere coscienti del proprio passato e disposti a difenderlo.
Il nostro laboratorio si affianca a questo nuovo modo di interpretare e divulgare la storia e attraverso l’archeologia sperimentale ricrea delle strutture che ripropongono una parte dell’ambiente dell’età preistorica.