L'età della pietra antica
Il Paleolitico (o Età paleolitica) è il primo periodo della Preistoria in cui l’uomo utilizza arnesi di pietra e d’osso scheggiati. Il termine deriva dall’unione delle parole greche παλαιoς = antico e λiθος = pietra. Identifica un lungo periodo della storia dell’uomo che intercorre, a seconda degli autori, tra 1 mln e 0,6 mln, arrivando fino a 10mila anni fa.
Il Paleolitico è suddiviso in tre periodi:
- Paleolitico inferiore (1 milione – 300mila anni fa);
- Paleolitico medio (300mila – 45mila anni fa);
- Paleolitico superiore (45mila – 10mila anni fa).
Durante questo periodo l’uomo inizia la produzione di piccoli manufatti ricavati dalla selce e dalle ossa degli animali uccisi con la tecnica della scheggiatura per creare utensili, armi e strumenti. Conosce l’uso del fuoco che utilizza per cuocere il cibo, proteggersi dalle belve feroci e riscaldarsi. Vive di caccia e di pesca allo stato nomade. Si copre con le pelli degli animali uccisi per mantenere il corpo al caldo. Nell’alternarsi delle stagioni, i gruppi umani sono costretti a spostarsi nel territorio per seguire gli animali da cacciare e per proteggersi dal freddo. Il nomadismo lo spinge a cercare luoghi di riparo sicuri e, successivamente, a costruire dei ripari artificiali facilmente trasportabili, come le tende in legno, in alternativa ai vecchi rifugi naturali quali grotte e caverne.

Non essendoci documenti scritti gli eventi sono ricostruiti analizzando i reperti giunti fino ai nostri giorni. I reperti si possono datare usando alcuni metodi delle scienze naturali, come quello del radiocarbonio, sostanza assorbita durante la vita e che si disintegra lentamente alla morte, secondo un ciclo di anni prestabilito. Altre metodologie analizzano la presenza di azoto, uranio e fluoro nelle ossa, oppure la dendrocronologia, una analisi che conta gli anelli concentrici dei tronchi d’albero, oppure ancora il metodo della termoluminescenza, che analizza la ceramica secondo la tesi che quanto questa è più antica, emette una luminosità maggiore se riscaldata.
Si tratta di industrie litiche – con questo termine sono indicate le produzioni su roccia – comprendenti strumenti ottenuti mediante la scheggiatura di ciottoli o piccoli blocchi di pietra, lavorati con azioni di percussione al fine di modificarne la forma originaria sino ad ottenere un bordo con uno spigolo acuto tagliente; la lavorazione, più o meno elaborata, viene praticata su una sola faccia della pietra, chopper o ciottolo unifacciale, o su due facce, chopping tool o ciottolo bifacciale.
Le più antiche industrie litiche sono state rinvenute in Etiopia e risalgono a 2.6 milioni di anni e sono riconducibili ad uno stadio iniziale della fase arcaica del Paleolitico, comunemente denominata Olduvaiano dal sito nella gola di Olduvai lungo la Rift Valley in Tanzania, attribuita all’Homo habilis.
All’Olduvaiano segue lo sviluppo dell’Acheuleano. Il nome di questo nuovo complesso che convenzionalmente viene fatto corrispondere l’inizio del Paleolitico inferiore, deriva dal sito francese di Saint-Acheul, identificato nel 1872. Si contraddistingue per la comparsa dei bifacciali, la cui forma attesta l’acquisizione della simmetria bilaterale ad essi sono associati hachereaux e strumenti su scheggia, quali raschiatoi, punte, denticolati.
Nel paleolitico è già presente una forma di spiritualità. Dai graffiti lasciati nelle caverne si comprende l’esistenza di riti magici legati al ciclo della vita e della caccia. Si può dedurre che l’uomo del Paleolitico ha una spiritualità, una concezione dell’aldilà (vita dopo la morte) e pratica riti magici e religiosi. I morti sono sepolti con il rito dell’inumazione insieme agli oggetti di uso comune che lascia presumere la convinzione dell’uomo del paleolitico dell’esistenza di una vita ultraterrena.
Il Paleolitico Inferiore
Nella fase più antica del Paleolitico vediamo come l’Homo ergaster si diffonde rapidamente dall’Africa orientale in Asia e forse in Europa. L’ipotesi più accreditata vuole che da un regime alimentare vegetariano-onnivoro l’Homo ergaster passi a una dieta più ricca di proteine animali, per cui, con l’aumento di popolazione, la diminuzione delle risorse alimentari disponibili nel proprio territorio e l’incapacità di sfruttarle, ha bisogno di emigrare in diversi continenti sviluppando nel tempo caratteristiche proprie che danno origine a specie diverse.

A partire dagli scavi realizzati nel 1890 nei depositi di Giava e successivamente in Cina, sono stati scoperti numerosi resti del genere Homo associati a un’industria litica arcaica. La specie fu definita Homo erectus e attualmente viene datata tra 1,5 e 0,25 mln di anni e considerata limitatamente all’Asia orientale.
- Le principali caratteristiche dell’Homo erectus sono la fronte sfuggente, la sporgenza sopraorbitale e occipitale (torus), la carena (o cresta) sagittale, un moderato prognatismo e una capacità cranica compresa tra i 900 e i 1225cc. Questa specie sembra che abbia una storia evolutiva separata dagli altri ominidi e che sia stata sostituita dall’Homo sapiens.
Il popolamento europeo risulta più recente di quasi un milione di anni di quello asiatico. Forse a causa di condizioni climatiche proibitive o la elevata presenza di carnivori come le iene e i leoni o gli orsi delle caverne, diretti competitori degli uomini primitivi, nell’occupazione delle grotte, potrebbero aver ritardato la colonizzazione del continente europeo dell’uomo, il quale può essere giunto attraverso il Medio Oriente, l’Anatolia e o la Georgia; più difficile sarebbe un passaggio attraverso lo stretto di Gibilterra sia per le correnti marine sia per la mancanza di mezzi di navigazione.
- Homo antecessor (che precede gli altri). Rinvenuto in numerosi frammenti presso la Grotta della Gran Dolina ad Atupuerca, in Spagna, è datato a circa 0.8-0.7 mln di anni. La morfologia della faccia, ricavata da un individuo molto giovane, mostrerebbe somiglianze sia con l’Homo Sapiens che con l’Homo heildebergensis e l’Homo neanderthalensis, per cui gli archeologi spagnoli hanno dedotto che l’avrebbero individuato come loro precursore.
- Homo heidelbergensis. Presente diffusamente in diverse regioni europee, in particolare grazie alla mandibola di Mauer trovata a Heidelberg (Germania), agli oltre 50 resti di Tautavel (in Francia), un calvario a Petralona (Grecia) e alcuni denti e una mandibola a Fontana Ranuccio (Lazio) e Visogliano nel Carso (TS), sono datati tra 0,6 e 0,4 mln di anni fa. Ha fronte sfuggente, sporgente sopra le orbite, prognatismo e una capacità cranica di 1230cc. Questa specie potrebbe essersi evoluta in Europa dall‘Homo antecessor o essere migrata dall’Africa e da questa stessa specie deriva sicuramente l’Homo neanderthalensis.
- Homo rhodesiensis o heidelbergensis africano. Ha una strettissima parentela con l’heidelbergiensis europeo, al punto da considerarlo in molti della stessa specie, è stato ritrovato in Tanzania, Kenia, Etiopia, Zambia, Sud Africa, Gibuti e Marocco. Databile tra 0,6 e 0,2 mln di anni, condivide le stesse caratteristiche somatiche e in particolare la grande capacità cranica, che raggiunge i 1280 cc. Si ritiene che si sia evoluto nell’Homo sapiens.
- Homo cepranensis o argil. Rinvenuto nel 1994 a Ceprano (FR), in Italia, è stato definitivamente datato a circa 0,4 mln di anni fa; presenta un notevole spessore delle ossa craniche, il frontale basso e sfuggente, la parte della fronte sopra le orbite molto pronunciata. Ha una forma cranica meno allungata, rispetto all’Homo erectus e manca della carena sagittale (la cresta) e una capacità cranica di 1180–1200cc. Secondo una ricerca pubblicata nel 2016, la morfologia del cranio di Ceprano dopo la sua ricostruzione virtuale appare molto più coerente con quella dell’Homo heidelbergensis, ritenuto ancestrale sia alla specie estinta Homo neanderthalensis che alla nostra stessa specie Homo sapiens.
Il Paleolitico Medio
In questo periodo, più precisamente tra i 250mila e i 27mila anni fa, ma in costante aggiornamento, si diffondono nel continente euroasiatico l’Homo neanderthalensis e l’Homo denisovanus, rispettivamente a occidente e a oriente, mentre circa nello stesso periodo, ma in Africa e sul Mediterraneo, compare l’uomo moderno, l’Homo Sapiens, di cui sono numerosi i ritrovamenti fossili e manufatti, i più antichi dei quali, finora, sono stati considerati i resti trovati in Etiopia a Omo Kibish, risalenti a 195.000 anni fa. Reperti con indubbie caratteristiche artistiche, risalirebbero almeno a 80-100mila anni fa, presso la Grotta di Blombos (a 300 km da Capo Agulhas, Sudafrica). Negli spostamenti dei Sapiens verso nord, dall’Africa al mediterraneo all’Europa si incrociano più volte con i neanderthaliani. È quanto emerge da uno studio del 2018 pubblicato su ‘Nature Ecology & Evolution’ firmato da Fernando Villanea e Joshua Schraiber della Temple University a Philadelphia (USA). Una percentuale variabile tra il 2 e il 6 per cento del genoma delle persone che non sono di origine africana deriva dai Neanderthal e dai Denisova, ma è evidente che il mescolamento genetico avviene come conseguenza di diversi incontri, perché nelle popolazioni asiatiche la percentuale del DNA derivato dai Neanderthal è del 12-20 % più alta rispetto agli europei.
Nel 2020, nella Grotta di Bacho Kiro, a pochi chilometri dalla piccola città di Dryanovo, in Bulgaria, è stato individuato un fossile di Homo Sapiens risalente a oltre 45mila anni fa: era la più antica evidenza diretta della sua presenza in Europa. Finora, quindi, i reperti attribuiti alla nostra specie erano tutti datati in questo stesso periodo. La datazione al radiocarbonio ad altissima precisione, condotta dalla prof.ssa Sahra Talamo dell’Università Alma Mater di Bologna, facendo scorrere l’orologio indietro di 2.000 anni rispetto a quanto ipotizzato finora sull’arrivo dell’Homo Sapiens in Eurasia, prolunga così il periodo di convivenza e incrocio con l’Homo Neanderthalensis anche in Europa.
Un articolo del 2019 firmato da Katerina Harvati, della Eberhard Karls Universität di Tubinga, in Germania, e altri studiosi su ‘Nature’ addirittura arretra di almeno 160 mila anni la presenza dell’Homo Sapiens nel continente europeo. Lo suggerisce uno dei due crani scoperti negli anni Settanta del XX secolo nella cava di Apidima, in Grecia meridionale: sarebbe databile a circa 210mila anni fa. Il cranio ha i tratti dell’Homo Sapiens. La conclusione degli autori è che una delle migrazioni di esseri umani anatomicamente moderni dall’Africa verso il Medio Oriente si sia verificata in un’epoca del Pleistocene medio (tra 781.000 a 261.000 anni fa) abbastanza remota da permettere la colonizzazione del sito greco prima di 210mila anni fa e di conseguenza mette in crisi l’ipotesi della migrazione africana che si è ipotizzato sia avvenuta intorno ai 45mila anni fa.
Due ricerche, coordinate dall’Istituto Max Planck di antropologia evolutiva di Lipsia, pubblicate sulla rivista ‘Nature’, arretra a oltre 300mila anni fa la presenza di Homo Sapiens in Marocco vicino a utensili e ossa di animali, che hanno permesso di ricostruire la dieta dei primi Sapiens a base di carne di gazzella e uova di struzzo, molluschi di acqua dolce, istrici, lepri, tartarughe e serpenti, oltre che il midollo delle ossa lunghe degli animali più grandi. Tra i fossili ritrovati nel sito di Jebel Irhoud, noto dagli anni ’60, ci sono diverse ossa umane, tra cui denti, una parte di cranio e una mandibola appartenenti complessivamente a cinque individui. L’analisi condotta con la risonanza a elettroni, dal gruppo guidato da Jean-Jacques Hublin, ha identificato le loro caratteristiche principali, mostrandone la corrispondenza con quelle dei primi uomini, e che rappresentano la prima fase evolutiva dei Sapiens. Il cranio dell’uomo di oggi combina diversi tratti che lo distinguono dai suoi antenati, come una faccia piccola e delicata e una scatola cranica sferica. I fossili di Jebel Irhoud hanno simili caratteristiche del volto e nei denti, ma una scatola cranica più larga e arcaica.
Nell’altro studio, invece, grazie all’uso della termoluminiscenza, i ricercatori, guidati da Shannon McPherron, hanno datato le ossa e altri reperti, come pietre focaie, datandoli a 300-350.000 anni fa.

Fino alla metà del ‘900 l’Homo neanderthalensis veniva considerato una sottospecie di Homo sapiens; lo studio del suo DNA mitocondriale ha permesso di distinguerlo come una specie a sé stante da cui non discende il sapiens e di stabilire che generalmente le due specie non si sono fuse insieme.
Generalmente è ancora accettata la sua collocazione tra i 130mila e i 35mila di anni fa, ma Francesco Mallegni ha dimostrato come la stabilizzazione della maggior parte dei suoi caratteri fosse già presente in resti di 300-250mila anni fa (si vedano i reperti rinvenuti a Krapina, in Croazia, e a Saccopastore -RM) e ancora riscontrabili in quelli databili a 27-28mila anni fa.
Si è ipotizzato un movimento migratorio tra i Neanderthal ‘classici’ precoci dall’Europa verso il Vicino Oriente in Palestina, Siria, Irak e Uzbekistan dove i caratteri neanderthaliani (cranio allungato con volta bassa, fronte sfuggente, sopraorbite accentuate, prognatismo sottonasale accentuato, assenza di mento, grande cavità nasale, capacità cranica di circa 1172-1740cc. – misurata su 25 crani) si sono progressivamente attenuati, con individui meno robusti, probabilmente grazie al clima meno rigido.
Uno studio dell’Università La Sapienza di Roma, pubblicato nel 2014 dalla rivista ‘Genome Research’, basato sull’analisi del cromosoma Y, ha sequenziato circa 1,5 milioni di basi del cromosoma Y umano in 68 individui maschi non imparentati, rappresentativi delle linee di discendenza paterne più antiche e selezionati mediante uno screening di migliaia di campioni. I dati hanno evidenziato un drastico cambiamento nelle linee genetiche: i nodi basali risultano essere molto più antichi di quanto finora ritenuto, di conseguenza le principali tappe migratorie affrontate dall’Homo Sapiens sono state retrodatate, dimostrando la sua esistenza in Africa centro-occidentale già 300mila anni fa circa. Il ridotto numero di rami presenti nella filogenesi all’origine fino a 115mila anni fa inoltre suggerisce l’esistenza di un piccolo numero (circa 10) di ‘padri fondatori’ africani della nostra specie; inoltre, solo uno di questi avrebbe dato origine a tutte le linee di discendenza maschile che si trovano attualmente fuori dall’Africa.
La morfologia dell’uomo-tipo moderno è caratterizzata da: cranio a fronte alta e breve, osso frontale verticale, occipitale con contorno arrotondato, toro sopraccigliare poco pronunciato, faccia relativamente piccola e ortognata (allineata verticalmente), scheletro postcraniale meno pronunciato delle altre specie, capacità cranica variabile tra 1090 e 1775cc. (misurati su 60 crani del Paleolitico) contro gli 900-2100cc delle popolazioni attuali.
La grotta di Blombos (Sudafrica) è stata frequentato in modo discontinuo per circa 140mila anni. Nel 1993, il dottor Christopher Henshilwood, del South African Museum, vi scoprì inizialmente alcuni manufatti in pietra, come punte simmetriche di lancia di circa 20mila anni fa. Nuovi scavi in strati più antichi hanno rivenuto una roccia con incisi dei disegni geometrici astratti e alcune conchiglie usate come contenitori per miscelare un colore a base di ocra, databili a circa 100 mila anni fa! Nelle conchiglie è stata trovata una patina di polvere rossa brillante, resti essiccati di una miscela colorata realizzata mescolando ocra rossa, ossa di foca polverizzate, carbone, frammenti di quarzite e un liquido, forse acqua.

Il Paleolitico Superiore
La fase più recente del genere umano è caratterizzata dalla comparsa, diffusione e successo evolutivo dell’Homo sapiens, l’uomo anatomicamente moderno. La discussione è ancora aperta sul tema della sua provenienza in quanto la nostra specie presenta diversi fenotipi con caratteristiche diverse.
Nella composizione del grande e complesso puzzle genetico che ha portato agli umani moderni uno spartiacque fondamentale, per quanto riguarda l’Europa, è stata la fine dell’ultima era glaciale. Al termine di quel periodo di sconvolgimento climatico, quando le temperature ricominciano a salire, i discendenti dei cacciatori-raccoglitori locali sopravvissuti vengono sostituiti da una popolazione di origine diversa che porta l’agricoltura e soprattutto nelle aree meridionali del continente si verifica un rinnovamento quasi completo che produce anche importanti mutamenti culturali.
Uno studio pubblicato sulla rivista Nature nel 2016 ha svelato la discontinuità tra le popolazioni che vivono in Europa prima e dopo l’ultima era glaciale e ha scoperto che intorno a 14.500 anni fa una nuova ondata migratoria che si sposta dal Mar Nero verso ovest, portando a un grande rinnovamento genetico e culturale. Quello che è noto come ‘rimpiazzamento villabruniano’, grazie alle ricerche sui reperti del sito archeologico di Villabruna (BL) dimostra che, a partire da quel momento, il DNA degli europei moderni è stato costantemente modificato attraverso nuove migrazioni e ne troviamo traccia in alcune caratteristiche fisiche e relative alla salute. Non tutte le caratteristiche fisiche di un individuo vissuto migliaia di anni fa possono essere ricavate dallo studio dei reperti ossei di umani antichi: se da uno scheletro si possono ottenere indicazioni per esempio sull’altezza, solo attraverso il DNA antico è possibile conoscere il colore degli occhi o dei capelli o dedurre informazioni sulle migrazioni preistoriche e degli incontri di popolazioni.
Un nuovo studio pubblicato nel 2022 su Current Biology, realizzato in collaborazione tra ricercatori dell’università di Torino, dell’università di Padova e dell’università di Tartu, in Estonia, scegliendo di partire non da reperti di DNA antico ma da individui moderni per i quali i fenotipi sono misurabili, ha rivelato come l’attuale aspetto degli europei sia frutto dell’incontro di tre antiche popolazioni e delle combinazioni con cui i contributi di ognuna di queste popolazioni possono essere ritrovati in specifiche parti del genoma. Alla fine dell’ultima glaciazione i cacciatori-raccoglitori locali si mescolano infatti ai primi agricoltori che iniziano a spostarsi dalla Mezzaluna fertile in Mesopotamia e, circa 3mila anni dopo, ai pastori delle steppe che durante l’Età del Bronzo migrano verso ovest, partendo dalle pianure tra il Mar Nero e il Mar Caspio.
Le innovazioni del periodo in cui compare l’Homo sapiens, comunemente individuato come Aurignaziano (circa 40-35 mln di anni fa), comprendono tutto il panorama culturale:
- nuove strategie insediative con l’affermazione di accampamenti organizzati;
- riti funerari più elaborati completi di corredi e connotati simbolici;
- uso di nuovi materiali utilizzati oltre alla pietra:
- conchiglie, osso, corno e avorio lavorati mediante tecniche specializzate e standardizzate, che prevedono il taglio, la raschiatura e la lisciatura;
- nuove armi da lancio rappresentate soprattutto da zagaglie appuntite;
- uso diffuso di oggetti ornamentali;
- la nascita dell’espressione figurativa, la cosiddetta ‘arte preistorica’, pittura, scultura, il bassorilievo compaiono simultaneamente;
- la pratica musicale con l’uso di strumenti a fiato;
- importanti innovazioni sono documentate nella tecnica di lavorazione della pietra con strategie di scheggiatura rivoluzionarie.
