Origini

Cronologia del Quaternario

Con il termine Quaternario sono indicate le ultime fasi della storia geologica della Terra, caratterizzate da una forte instabilità climatica, dall’estinzione di alcune specie animali e dalla diffusione dell’uomo.

Il Quaternario è costituito dall’alternanza ciclica di fasi fredde e fasi calde, i cui estremi sono le glaciazioni, contraddistinte dall’avanzata dei ghiacciai su vaste aree della superficie terrestre, seguite dagli interglaciali, fasi calde o temperate caratterizzate dallo scioglimento e conseguente ritiro dei ghiacci. L’ultima glaciazione inizia circa 40 milioni di anni fa, con i primi ghiacciai che arrivano a coprire la calotta Antartica. La sua intensificazione avviene solamente 2,6 milioni di anni fa, con l’espansione della calotta polare Artica.

Il Quaternario inizia circa 2.6 milioni di anni fa e comprende il periodo geologico del Pleistocene, suddiviso in Inferiore, Medio e Superiore e dell’Olocene che inizia circa 10.000 anni fa e perdura fino a oggi, spesso accompagnato dal termine postglaciale, in quanto, soprattutto nell’emisfero nord, coincide con il ritiro dei ghiacciai, l’innalzamento del livello del mare e la crescita dei boschi in zone liberate dai ghiacci. In questo periodo fa la comparsa l’Homo Sapiens.

Nella regione alpina nel 1909 vengono condotti degli studi sulle attività dei ghiacciai del versante alpino settentrionale; nelle vallate tedesche di quattro affluenti del Danubio in Baviera vengono distinte quattro glaciazioni denominate come i fiumi:

  • Gunz (da circa 1,3 milioni a 700mila anni fa)
  • Mindel (da 650mila a 470mila anni fa)
  • Riss (da 350mila a 130mila anni fa)
  • Wurm (da 80mila a 10.700 anni fa)

Intercalati da tre fasi interglaciali (rispettivamente chiamate Günz-Mindel, Mindel-Riss e Riss-Würm).
Gli studi più recenti, estesi soprattutto alle vallate alpine italiane, hanno portato a considerare un numero maggiore di periodi glaciali da 4 a 6 e probabilmente a 8. Nel periodo finale del Wurmiano, al momento della massima espansione (tra i 25-18 mila anni fa) il ghiaccio ricopre il 12% dell’intera superficie terrestre, circa 40 milioni di Km2

Il periodo attuale viene definito nel periodo interglaciale postwurmiano, durante il quale si riscontrano dei periodi climatici minori: 3 optimum climatici (cioè i periodi più caldi) e uno stadiale (cioè il periodo più freddo).
I primi due optima climatici risalgono a 7000-4500 anni fa, quando la temperatura media globale arriva a superare quella attuale di ben 1.11°C; il terzo optimum climatico è compreso tra l’800 e il 1300 d.C., ed è conosciuto anche come periodo caldo medievale (in questo ultimo caso ci sono numerose testimonianze scritte a provare il riscaldamento in Europa e Nordamerica, insieme alle ricerche dei paleoclimatologi).
Lo stadiale invece, è conosciuto sotto il nome di Piccola era Glaciale (PEG); risale al periodo che va dal 1300 al 1850 d.C.

Dai primi ominidi al genere Homo

L’evoluzione dell’uomo è un processo che ormai è altamente confermato grazie a ricerche incrociate. Le prove paleontologiche offerte dai ritrovamenti di resti ossei fossilizzati, quelli culturali costituiti da manufatti, le impronte di piedi e di mani, lasciate dalle varie forme di ominidi sono supportate da studi genetici, immunologici e biomolecolari, tra uomo e altri organismi viventi – soprattutto primati – consentendo così di ipotizzare i momenti di divergenza susseguitisi nella scala evolutiva dei primati, di cui l’uomo fa parte.

Gli ominidi si distinguono dagli altri primati, inizialmente, per la postura eretta e il bipedismo, in seguito per il progressivo aumento della capacità cranica, per lo sviluppo differenziato di alcune aree corticali dell’encefalo, per le manifestazioni culturali, per il linguaggio articolato, prerogative che iniziano a riconoscersi nei resti fossili a partire da circa 6 milioni di anni fa.

  • ECOLOGICA: potrebbe consistere in un preadattamento alla postura eretta sul terreno, gli individui erano costretti a lasciare momentaneamente gli alberi, per raccogliere il cibo.
  • COMPORTAMENTALE: consequenziale alla prima, privilegia l’aspetto sociale, ipotizzando la comparsa della monogamia meccanismo fondamentale per l’aumento della riproduzione, tutti i maschi del gruppo, non solo quello dominante, sarebbero stati impegnati nella ricerca del cibo da offrire alla compagna e alla prole.
  • TERMOLEGOLATRICE: prevede un adattamento fisico all’esposizione solare, la posizione verticale del corpo sarebbe stata la più adatta per ridurre il riscaldamento corporeo e in particolare dell’encefalo, probabilmente sviluppatosi in un ambiente di savana aperta, può essere più idoneo a spiegare l’evoluzione del bipedismo nel genere Homo.
  • Orrorin tugenensis, datato circa 6 milioni di anni, è stato identificato da pochissimi resti rinvenuti a Kapsomin e Cheboit in Kenia. Il nome Orrorin, in lingua tugen, significa appunto uomo originario. Il femore pare attestarne la stazione eretta, il peso corporeo poteva aggirarsi intorno ai 40 kg e l’associazione con resti di scimmie colobine ed impala sono indicativi di un ambiente a foresta intervallato a prateria. La sua dieta pare essere stata vegetariana.
  • Ardipithecus ramidus, datato tra 5.3 e 4.4 milioni di anni, è rappresentato dai resti ritrovati ad Aramis in Etiopia. Il suo nome, ardi, in lingua Afar, significa terra, quindi scimmia terrestre. La base cranica presenta un certo accorciamento, con inizio di spostamento in avanti del forame magno, indice di una postura tendenzialmente eretta. L’habitat sembra di tipo forestale e la sua dieta pare basata su vegetali teneri, dall’analisi dei suoi denti.
  • Australopithecus anamensis, è il primo Australopiteco identificato. I suoi resti, datati tra i 4.2 e 3.9 milioni di anni fa, sono stati ritrovati ad Allia Bay e Kanapoi in Kenia, anam in lingua turkana significa lago. Il peso corporeo poteva aggirarsi tra i 40 e i 60 kg, con un’accentuata differenza tra maschi e femmine.
  • Australopithecus afarensis, i suoi resti sono datati tra i 3.8 e 3.0 milioni di anni e provengono da Afar in Etiopia e da Laetoli in Tanzania. Comprendono un eccezionale scheletro completo quasi al 40% denominato Lucy, con una struttura che attesta il bipedismo ma anche una possibile capacità di arrampicarsi sugli alberi. La sua capacità cranica risulta bassa, circa 350 cc e il peso poteva aggirarsi sui 45-60 kg con un accentuato dimorfismo sessuale, dal tipo dei denti la dieta sembra vegetariana. L’habitat in cui viveva doveva essere un ambiente di foresta interrotto da savana semi-arida.

I mutamenti climatici verificatisi circa 2.5 milioni di anni fa provocarono la comparsa di un ambiente sempre più arido e povero di copertura boschiva e di conseguenza causarono l’estinzione di alcune specie di australopicine e l’evoluzione del genere Homo. Non si conosce ancora da quale specie si siano evolute le prime forme umane. Comunque la sua comparsa comportò l’evoluzione di strategie alimentari e comportamentali diverse da quelle degli australopiteci.

La dieta prevalentemente vegetariana divenne onnivora, con un incremento di proteine animali, ed iniziò la fabbricazione di strumenti in pietra.

I primi Homo si cibavano di carne recuperata da carcasse di animali vittime dei carnivori o morti per cause naturali. Se osserviamo i manufatti litici che producevano, possiamo constatare che non si presentano come armi da offesa ma strumenti utili alla macellazione; i vegetali sicuramente rappresentavano un’importante componente della loro dieta.

  • HOMO RUDOLFENSIS, del lago Rodolfo, oggi denominato Lago Turkana, i fossili di questa specie sono datati tra i 2.4 e 1.6 milioni di anni. La capacità cranica è di 750cc. Viene attualmente considerato una specie a sé stante che non ha contribuito alla scala evolutiva dell’uomo sapiens.
  • HOMO HABILIS, cioè abile nella fabbricazione di strumenti. Sono stati rinvenuti numerosi resti craniali e postcraniali in siti della Tanzania, Kenia ed Etiopia, datati tra 2.0 e 1.6 milioni di anni. Il peso corporeo si aggira sui 40-50 kg, la capacità cranica è di 610cc. I suoi resti sono associati all’industria olduvaiana.
  • HOMO ERGASTER, che lavora. I resti sono datati tra 1.8 e 1.5 milioni di anni. Questa specie si differenzia dalla precedente, dalla quale probabilmente si è evoluta, per alcuni caratteri: la capacità cranica è compresa tra 800 e 900cc; lo scheletro postcraniale, conosciuto soprattutto dai resti di un adolescente, il cosiddetto “ragazzo del Turkana”, presenta statura e proporzioni simili a quelle delle popolazioni attuali che vivono in clima di tipo tropicale; le vertebre lombari sono 6 come nelle australopicine. Resti affini sono stati trovati in Georgia a Dmanisi e potrebbero documentare la prima migrazione dall’Africa del genere Homo, il quale si sarebbe evoluto in Homo erectus con cui condivide alcuni caratteri. Dall’Africa orientale l’ Homo ergaster si è diffuso rapidamente in Asia e forse successivamente in Europa. L’ipotesi più plausibile di questa migrazione è che il passaggio da un regime alimentare vegetariano-onnivoro ad una dieta ricca di proteine animali abbia spinto questi antichi uomini ad occupare nuovi territori per poter avere a disposizione quantità sufficienti di cibo; tale tipo di dieta avrebbe potuto provocare un aumento di popolazione ancora non preparata a sfruttare appieno le risorse alimentari dei territori di origine.

Le popolazioni di Homo dei tre continenti hanno sviluppato nel tempo caratteristiche proprie dando origine a specie distinte.

È una delle più sensazionali scoperte, rinvenute in Tanzania alla fine degli anni ’70.

Si tratta di due serie di impronte parallele, datate a 3.8 milioni di anni fa, lasciate da due individui di dimensioni diverse, probabilmente di un maschio e una femmina; su quelle più grandi sembrano sovrapporsi impronte di un terzo individuo più piccolo.

La loro fossilizzazione è stata determinata da una leggera pioggia sulla polvere eruttata da un vulcano, su cui gli ominidi stavano camminando, che divenne solida nel giro di pochi minuti dopo la comparsa del sole, seguirono poi altre eruzioni che, stratificandosi, permisero la loro conservazione.

Nelle impronte meglio conservate si nota la pressione del calcagno, l’arco plantare e l’alluce leggermente aperto rispetto alle altre dita, caratteristica presente anche in gruppi umani attuali che non usano calzature.